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Trattamento delle acque meteoriche di dilavamento

DIMENSIONAMENTO DEGLI IMPIANTI DI TRATTAMENTO DELLE ACQUE METEORICHE DI DILAVAMENTO NELLE ATTIVITÀ DI RECUPERO RIFIUTI SECONDO LA NORMA UNI EN 858-1:2005 E UNI EN 858-2:2004

Autore: PAOLO MONTIN

Introduzione

Molte attività di recupero rifiuti, in virtù dei quantitativi di materiale coinvolti, sono ubicate su aree pavimentate esterne, dove trovano luogo i cumuli di materiale, gli impianti di rifornimento dei mezzi e, spesso, gli stessi macchinari che effettuano il recupero. Generalmente tali impianti, che agiscono mediante separazione, cernita e successiva riduzione granulometrica o volumetrica dei rifiuti, non fanno uso di acqua di processo e non producono perciò acque reflue; le aree esterne, dove avvengono direttamente le operazioni di recupero od il deposito di rifiuti, sono però considerate produttive, per cui le acque di dilavamento meteoriche che ricadono su di esse diventano a tutti gli effetti acque reflue industriali.

L’inquinamento dei corpi ricettori degli scarichi (corsi d’acqua superficiali, suolo-sottosuolo o pubblica fognatura), da parte di sostanze connesse alle attività svolte sulle superfici produttive, è certamente un rischio da tenere in debita considerazione. Il trattamento delle acque meteoriche di dilavamento è quindi un problema non trascurabile, che necessita della valutazione, oltre che del volume di acqua che può essere raccolto su aree impermeabilizzate, anche della tipologia di rifiuti presenti e delle sostanze potenzialmente inquinanti ad essi collegate.

I sistemi di trattamento delle acque di dilavamento comunemente utilizzati nelle attività di recupero rifiuti sono di due tipologie:

  1. depuratori di tipo chimico-fisico;
  2. sistemi di dissabbiatura – disoleazione.

I primi trattano le acque in appositi impianti, costituiti da reattori e vasche dove vengono dosate apposite sostanze per abbattere chimicamente la concentrazione di inquinanti; i secondi trattano le acque solo dal punto di vista meccanico, mediante la filtrazione/decantazione dei fanghi in sospensione e la separazione degli olii/idrocarburi dalle stesse.

In questa sede saranno esposte le metodologie di dimensionamento degli impianti di trattamento delle acque secondo le norme UNI EN 858-1:2005 “Impianti di separazione per liquidi leggeri. Parte 1: principi di progettazione, prestazione e prove sul prodotto, marcatura e controllo qualità” e UNI EN 858-2:2004 “Impianti di separazione per liquidi leggeri. Scelta delle dimensioni nominali, installazione, esercizio e manutenzione”.

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Il quadro normativo

Il tema degli scarichi è regolamentato, a livello nazionale, dalla Sezione II, Titolo I del D.Lgs. 152/2006 “Norme in materia ambientale”, come modificato dal D.lgs. 4/2008; l’Art 74 fornisce le seguenti definizioni:

ff) scarico: qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. (omissis…)

h) acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento;

In tema di acque meteoriche di dilavamento, inoltre, l’Art 113 del D.Lgs. 152/2006, recita quanto segue:

Comma 1: Ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, le Regioni, previo parere del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, disciplinano e attuano:

  • le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate;
  • i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione.

(omissis…)

Comma 3: Le Regioni disciplinano altresì i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari condizioni, nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici.

Dalla lettura della normativa nazionale si evince che lo Stato ha demandato alle Regioni la regolamentazione delle acque meteoriche di dilavamento su aree esterne. Diverse regioni hanno già provveduto a disciplinare la materia indicando specifiche disposizioni per la loro gestione e, tra di esse, citiamo:

  • la Regione Lombardia, mediante il Regolamento Regionale n. 4 del 24/03/2006 “Disciplina dello smaltimento delle acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne” e la Delibera di Giunta Regionale n. 8/2772 del 21/06/2006 “Direttiva per l’accertamento dell’inquinamento delle acque di seconda pioggia”;
  • la Regione Piemonte, mediante il Regolamento Regionale n. 1/R del 20/02/2006, poi modificato dal Reg. Reg. n. 7/R del 02/08/2006;
  • la Regione Emilia Romagna, mediante la Delibera di Giunta Regionale n. 1860 del 18/12/2006 “Linee Guida di indirizzo per la gestione acque meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia;
  • la Regione Veneto, mediante il Piano di Tutela delle Acque, di cui alla Delibera di Giunta Regionale 4453 del 29/12/2004.

Il fattore comune di tutte le norme e dei regolamenti sopra riportati è che le acque di dilavamento di aree esterne, in cui avvengono lavorazioni, ovvero stoccaggi di rifiuti o materiali da cui possono essere lisciviate sostanze pregiudizievoli per gli obiettivi di qualità dei corpi ricettori degli scarichi, devono essere sottoposte a trattamento, onde garantire il rispetto dei limiti di concentrazione dei parametri chimici imposti a seconda della destinazione finale (fognatura, corsi d’acqua superficiali, suolo-sottosuolo); tali scarichi, inoltre, devono essere preventivamente autorizzati.

A questo punto sorge spontanea una domanda: devono essere trattate tutte le acque meteoriche di dilavamento o soltanto quelle di prima pioggia (vale a dire le acque corrispondenti ai primi 15 minuti di precipitazione e che producono una lama d’acqua convenzionale pari ad almeno 5 mm)? La risposta non è ancora univocamente definita a livello normativo e soltanto alcune regioni hanno provveduto a fornire una regolamentazione, che può essere schematizzata nel modo seguente:

  • le acque di dilavamento di superfici esterne, sulle quali non avviene direttamente lo stoccaggio di materiali o rifiuti ma vengono svolte operazioni che possono compromettere la qualità degli scarichi delle acque bianche (movimentazione mezzi, distribuzione di carburante, ecc..), devono essere trattate almeno per la frazione di prima pioggia, in quanto si può presupporre un basso carico inquinante delle acque eccedenti i primi 5 mm*;
  • le acque di dilavamento di superfici esterne utilizzate per attività produttive, oppure il deposito di rifiuti o materiali che possono essere sottoposti a lisciviazione per tutta la durata dell’evento meteorico, devono essere integralmente trattate, in quanto sia la frazione di prima che di seconda pioggia possono apportare elementi inquinanti allo scarico.

Ovviamente i casi vanno valutati volta per volta e, data la mancanza di chiarezza normativa, concertati con gli Enti preposti al rilascio dell’autorizzazione allo scarico.

Il Legislatore nazionale non stabilisce quali debbano essere i sistemi ed i metodi di trattamento delle acque, affermando, tuttavia, che essi devono essere in grado di garantire il rispetto dei limiti di concentrazione di sostanze inquinanti allo scarico imposti, dove localmente non più restrittivi, dall’Allegato 5, Parte III del D.Lgs. 152/06.

* Il trattamento delle sole acque di prima pioggia si giustifica con il fatto che esse costituiscono la frazione della precipitazione caratterizzata dalle più elevate concentrazioni di sostanze inquinanti (fenomeno del first foul flush). Durante un periodo non interessato da eventi meteorici, infatti, si verifica la deposizione al suolo di polveri e/o liquidi inquinanti, la cui entità è direttamente proporzionale alla lunghezza del periodo di tempo privo di precipitazioni. Al verificarsi dei primi scrosci di pioggia, la cui intensità è statisticamente maggiore rispetto all’intero evento meteorico, le gocce di pioggia sono in grado di rimuovere quasi completamente le sostanze inquinanti, trasportandole in soluzione o sospensione verso i corpi ricettori. Si presume che, a seguito dell’azione di dilavamento operata dalle acque di prima pioggia, le rimanenti bagnino superfici già scevre di contaminanti e, quindi, raggiungano lo scarico con caratteristiche qualitative assimilabili alle acque meteoriche.

Determinazione del tipo e delle dimensioni degli impianti di separazione secondo le norme UNI EN 858-1:2005 e UNI EN 858-2:2004

Per le attività produttive ubicate su aree esterne, nelle quali vi è un sufficiente grado di certezza che le sostanze che possono essere trascinate allo scarico sono rappresentate da polveri o liquidi leggeri di origine minerale, il sistema di trattamento delle acque di dilavamento può essere costituito da un impianto di sedimentazione e separazione. In mancanza di indicazioni specifiche, il dimensionamento di tale impianto può essere eseguito secondo quanto indicato dalla norma UNI EN 858-2:2004, che costituisce una guida per la scelta delle dimensioni nominali, nonché per l’installazione, l’esercizio e la manutenzione di impianti di separazione fabbricati in conformità alla norma UNI EN 858-1:2005, di cui si riportano di seguito alcuni articoli utili ai fini della presente esposizione.

Gli impianti di separazione possono essere utilizzati in un’ampia gamma di situazioni per soddisfare un certo numero di esigenze diverse; prima di scegliere le dimensioni ed il tipo di installazione appropriati è importante stabilire a quale funzione si presume esso debba adempiere. In generale, gli impianti di separazione possono essere installati per una o più delle seguenti ragioni:

  1. per il trattamento delle acque reflue (effluenti commerciali) provenienti da processi industriali, lavaggio di veicoli, pulizia di parti ricoperte di olio o altre sorgenti (per esempio piazzole di stazioni di rifornimento carburante);
  2. per il trattamento dell’acqua piovana contaminata da olio (deflusso superficiale) proveniente da aree impervie, per esempio parcheggi per auto, strade, aree di stabilimenti;
  3. per il contenimento di qualunque rovesciamento di liquido leggero e per la protezione dell’area circostante.

Le parti che compongono gli impianti di separazione, conformi a quanto indicato nella norma UNI EN 858-1:2005, sono due (cfr. Tabella 1):

  1. Sedimentatore: parte di impianto in cui il materiale (fango, limo, sabbia) sedimenta
  2. Separatore: parte dell’impianto che separa, trattenendolo, il liquido leggero dalle acque reflue. Il separatore può essere di Classe I (per concentrazioni di olio residuo allo scarico < 5 mg/l) o di Classe II (per concentrazioni di olio residuo allo scarico < 100 mg/l) e può essere dotato di bypass (dispositivo che consente il passaggio di una portata in eccesso).

Ad esse si aggiunge il Condotto di campionamento: parte dell’impianto, situata a valle del separatore, in cui possono essere prelevati campioni di acque reflue.

Tabella 1: Tipologia di componenti di un impianto di separazione

 

Le indicazioni per la configurazione degli impianti di separazione, a seconda delle caratteristiche dei liquidi da trattare e dei requisiti minimi di qualità del refluo da soddisfare, sono riportate nell’Appendice B della UNI EN 858-2:2004 (cfr. Tabella 2).

Tabella 2: configurazioni degli impianti di separazione

 

Le classi di separatori (classe I e II) sono definite al punto 4 della UNI EN 858-1:2005. I separatori di Classe I forniscono un grado più elevato di separazione rispetto ai separatori di Classe II. Il dimensionamento dei separatori di liquidi leggeri deve essere basato sulla natura e sulla portata dei liquidi da trattare, tenendo conto di quanto segue:

  • portata massima dell’acqua piovana;
  • portata massima delle acque reflue;
  • massa volumica del liquido leggero;
  • presenza di sostanze che possono impedire la separazione (per esempio detergenti).

Le dimensioni del separatore devono essere calcolate dalla formula seguente:

NS = (Qr + fx × Qs) × fd

dove:

NS               rappresenta le dimensioni nominali del separatore [l/s];

Qr                è la portata massima dell’acqua piovana [l/s];

Qs                è la portata massima delle acque reflue [l/s];

fd                 è il fattore di massa volumica per il liquido leggero in oggetto;

fx                 è il fattore di impedimento che dipende dalla natura dello scarico.

 

Il fattore di massa volumica fd permette di considerare le diverse densità di liquidi leggeri utilizzando combinazioni diverse dei componenti del sistema, secondo lo schema riportato in tabella 3.

Tabella 3: Fattori di massa volumica

 

Il fattore di impedimento fx considera condizioni di separazione sfavorevoli, per esempio la presenza di detergenti nelle acque reflue. I fattori di impedimento minimi raccomandati sono elencati nella Tabella 4.

Tabella 4: Fattori di impedimento

 

L’afflusso di acque reflue deve essere calcolato come somma di tutti i flussi affluenti, secondo la formula:

Qs = Qs1 + Qs2 + Qs3 +…

Per gli utilizzi di categoria b), le dimensioni del separatore dipendono dalla progettazione, dall’intensità delle precipitazioni piovose e dallo scarico dell’area di raccolta verso il separatore stesso. La portata massima dell’acqua piovana Qr [l/s] deve essere calcolata utilizzando la formula seguente, in conformità alla EN 752-4 “Drain and sewer systems outside buildings – Hydrauilic design and environmental consideration”:

Qr = ψ·i·A

dove:

i                 è l’intensità delle precipitazioni piovose [l/s·ha];

A                è l’area che raccoglie le precipitazioni [ha];

ψ                è il coefficiente di deflusso superficiale adimensionale

La portata massima dell’acqua piovana (Qr) può essere desunta attraverso un’adeguata analisi pluviometrica, che preveda l’utilizzo di tempi di ritorno elevati (ad esempio di 50 anni), specialmente se gli stessi dati pluviometrici che si hanno a disposizione risultano essere poco recenti.

Gli impianti di separazione devono comprendere, inoltre, un sedimentatore, in forma di unità separata o come parte integrante del separatore, il cui volume può essere stabilito come indicato nella Tabella 5

Tabella 5: Dimensionamento del sedimentatore

 

Esempio numerico

Viene presentato il caso di un impianto di recupero, messa in riserva e deposito preliminare di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da imballaggi, rifiuti plastici, legno e carta.

L’impianto occupa una superficie complessiva di 7.159 m2, di cui 1.093 m2 coperti (capannone dove avviene il recupero), 5.271 m2 scoperti (piazzale in cls dove avviene lo stoccaggio dei rifiuti) ed i rimanenti a verde. L’attività di recupero non prevede l’utilizzo di acqua, per cui le uniche acque reflue prodotte sono costituite da quelle di dilavamento delle superfici esterne, considerate come produttive; lo scarico delle acque reflue avviene in corso d’acqua superficiale.

Il dimensionamento dell’impianto di trattamento delle acque è stato eseguito secondo la norma UNI EN 858-2:2004. Data la tipologia dei rifiuti trattati, infatti, si è ritenuto che le acque di dilavamento possono essere contaminate esclusivamente da solidi sospesi e olii/idrocarburi derivanti dal movimento dei mezzi; la presenza di rifiuti sulle aree esterne ha reso necessario però il trattamento delle acque reflue in continuo.

L’impianto è stato quindi progettato con una componente di sedimentazione, per togliere i materiali in sospensione, ed una di separazione dei liquidi leggeri dall’acqua reflua.

I parametri utilizzati per il calcolo ed i relativi risultati sono di seguito esposti:

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